sabato 28 febbraio 2009

INERVISTA A SAN PAOLO(n.6)








INTERVISTA A SAN PAOLO (n.6)
a cura di P. Carlo Colonna s.j.
Dopo la benedizione e la preghiera ricevuta da Paolo, riprendemmo la nostra conversazione. Come era fruttuosa per l’anima mia questa intervista con Paolo e spero che possa esserlo anche per quanti la leggeranno. Gli chiesi quindi:
Domanda: Paolo, parlaci un po’ della tua vita missionaria come apostolo.
Risposta: Immagina queste cinque realtà: i pulpiti, le strade, le navi, le case, le prigioni. Sono stati i luoghi dove ho passato la mia vita missionaria, mentre abbandonavano in me le consolazioni di Dio insieme alle tribolazioni a causa del Vangelo e dei pericoli della vita, che non mi hanno risparmiato. Ma in tutto ho visto l’onnipotente mano di Nostro Signore che mi proteggeva, mi guidava e mi faceva portare a termine la missione, per cui mi aveva mandato. Riguardo alle tribolazioni senza numero che mi hanno seguito nel mio apostolato, non ti devi meravigliare. All’inizio anch’io mi ribellavo davanti ad esse, soprattutto per ciò che ho chiamato “una spina nella carne”, “un inviato di satana, incaricato di schiaffeggiarmi” (2 Cor 12, 7). Non ne potevo più. Mi sentivo umiliato all’estremo. Mi pareva che, se ne fossi stato liberato, la mia operosità per il Vangelo sarebbe cresciuta. Come scrissi ai Corinti, “per ben tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me” (2 Cor 12,8). Ma sai che mi ha risposto? Ebbi per risposta: “Ti basta la mia grazia: la mia potenza infatti si dimostra pienamente nella debolezza” (1 Cor 12, 9). Che luce, che ammaestramento! Mi fece cadere a terra allo stesso modo di come caddi a terra, quando la grande luce dal cielo mi apparve sulla via di Damasco. Ero cieco, non capivo il valore di quella tribolazione. Gesù con quella risposta me lo fece capire. E penso che ciò che disse a me sarà di luce anche a tanti che si trovano ora nella mia condizione di allora. In quel momento mi sembrò di vedermi come una fragile vaso, povero e umile in sé, in cui Dio aveva messo una potenza irresistibile, che vinceva tutte le forze che volevano distruggerlo, pensando di poterlo fare, perché lo vedevano fragile, povero e umile, senza difesa. Mi sentii allora come una potenza irresistibile, perché abitava in me la potenza di Cristo, e che ero destinato ad essere quel cavaliere bianco dell’Apocalisse, che esce “vittorioso per vincere ancora” (Ap 6,2). Capii allora che la tribolazione dell’angelo di satana serviva a farmi sentire vaso povero e umile, a farmi rimanere nell’umiltà e a dimostrare chiaramente che la potenza straordinaria che mi faceva vincere veniva da Dio e non da me come scrissi ai Corinti: “Però noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi” e poi aggiunsi per essere più concreto: “Siamo infatti tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi; portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo” (2 Cor 4,10). Se sapessi quanti episodi ti potrei raccontare in cui ho vissuto realmente queste cose!
Domanda: Grazie, Paolo, veramente ti dico con tutto il cuore: grazie. Sapessi quanto bene ha fatto a tante anime la tua esperienza di debolezza umana e forza divina, che tu per primo hai vissuto! Ora capisco perché hai detto: “Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo” (2 Cor 12,9).
Risposta: Continua, non ti fermare. Ho aggiunto per completare: “Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo; quando sono debole, è allora che sono forte” (2 Cor 12,10). Oltraggi, necessità, persecuzioni, angosce sofferte per Cristo: ecco le mie debolezze. Il Signore ha voluto fare di me un segno della debolezza della croce, che lui per primo ha portato e con cui ha salvato il mondo. Alla debolezza di Cristo, per lui non naturale, ma voluta per farsi simile a noi, è seguita la debolezza di noi apostoli, per noi naturale e lasciata da Dio in noi, perché si manifestasse attraverso questa debolezza la potenza di Cristo. Come attraverso la debolezza di Cristo si manifestava in lui la potenza del Padre, così attraverso la nostra debolezza di inviati di Cristo, si manifestava in noi la potenza di Colui che ci inviava. Grande mistero è essere apostolo di Cristo! Fin quando non si capisce che la potenza di noi, apostoli di Cristo, si manifesta nella nostra debolezza, nessuno mai sarà un vero apostolo di Cristo! Non siamo grandi noi, apostoli di Cristo, siamo polvere e cenere come tutti gli uomini. Chi è grande e ha fatto grandi cose in noi è solo Gesù Cristo, nostro Signore.
In quel momento, come già aveva fatto altre volte, Paolo uscì in una potente preghiera di glorificazione e di lode rivolta al Padre. Alzò solennemente le braccia al cielo e pronunziò in modo chiaro e forte quanto scrisse nella Lettera agli Efesini, cap. 3,20-21: A Colui che ha in tutto il potere di fare molto di più di quanto possiamo domandare o pensare secondo la potenza che già opera in noi, a Lui la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù per tutte le generazioni, nei secoli dei secoli. Amen. Detta la lode, si rivolse a me e mi disse: Ricordati che il nostro Dio, quello che io ho servito e che tu ora servi, è Colui che trasse dal nulla tutte le cose con la sola potenza della sua Parola ed è gradito a Lui chi non confida in se stesso per esistere ed operare, ma solo in Lui. Così eravamo noi suoi apostoli, araldi della sua Parola, suoi ambasciatori presso i popoli. La nostra fiducia era Lui e la potenza della Suo Spirito, che visibilmente ci sosteneva ed operava in noi.
Domanda: In molti punti delle tue Lettere hai scritto di questo tuo atteggiamento interiore davanti a pericoli e uditorii di ogni tipo, che dovevi affrontare. Mi ha colpito quanto scrivesti nella tua seconda Lettera ai Corinti: “Non vogliamo infatti che ignoriate, fratelli, come la tribolazione che ci è capitata in Asia ci ha colpiti oltre misura, al di là delle nostre forze, sì da dubitare anche della vita. Abbiamo addirittura ricevuta la sentenza di morte per imparare a non riporre fiducia in se stessi, ma nel Dio che risuscita i morti. Da questa morte però egli ci ha liberato e ci libererà per la speranza che abbiamo riposto in lui, che ci libererà ancora, grazie alla vostra cooperazione nella preghiera per noi, affinché per il favore divino ottenutoci da molte preghiere, siano rese grazie per noi da parte di molti” (2 Cor 1, 8-11).
Risposta: Sì, fu una gravissima malattia, che mi ridusse in fin di vita. Ma Dio sovrabbondò di grazia in quella mia estrema tribolazione. Il Signore mi guarì miracolosamente e fui liberato dalla morte. Molti pregarono per me e resero grazie a Dio per la mia guarigione, così che la nostra fiducia in Dio che ascolta le nostre preghiere e ci libera da tanti pericoli crebbe sempre più e aumentò in tutti la fiducia nel predicare il Vangelo in mezzo a opposizioni di ogni tipo. Per questo dico a tutti voi quello che scrissi ai Filippesi: “Rallegratevi nel Signore, sempre: ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino. Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti, e la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù” (Fil 4,4-7).
Una grande pace mi scese in cuore a quelle parole. Pensavo da quale persona mi venivano. Mi venivano da uno che fin dall’inizio aveva avuto su di sé rivelato che avrebbe molto sofferto per il Nome di Gesù (At 9, 16) e che di fatto aveva annunziato il Vangelo in mezzo a prove e tribolazioni di ogni tipo. Eppure quest’uomo mi parlava di gioia, di allegria, di piena fiducia in Dio, di non angustiarsi nelle tribolazioni, di preghiere e rendimento di grazie a Dio in ogni cosa che fanno superare ogni problema. E perché la nostra gioia avesse un fondamento stabile e non passeggero, aveva scritto ai Corinzi: Il momentaneo leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria, perché noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili (2 Cor 4,17-18). (continua)
La personalità di Paolo apostolo (2)
(dalla Bibbia di Gerusalemme)
L’ardore del suo cuore sensibile si traduce chiaramente nei sentimenti verso i propri fedeli. Pieno di abbandono fiducioso verso quelli di Filippi (Fil 1,7s; 4,10-20), di commossa tenerezza verso quelli di Efeso (At 20,17-38), egli sussulta di sdegno quando quelli della Galazia si apprestano a tradire la fede (Gal 1,6; 3,1-3) e prova un doloroso imbarazzo di fronte all’incostanza vanitosa di quelli di Corinto (2 Cor 12,11-13,10). Per riprendere gli incostanti egli sa adoperare l’ironia o anche i duri rimproveri. Ma è per il loro bene (2 Cor 7, 8-13). E subito tempera le ammonizioni con accenti di commovente tenerezza (2 Cor 11,1-2; 12,14 s): non è forse il loro unico padre (1 Cor 4,14 s; 2 Cor 6,13; cf. 1 Ts 2,11; Fm 10), la loro madre (1 Ts 2,7; Gal 4,19)? Di fatto egli se la prende meno con loro che con gli avversari che tentano di sedurli: quei giudei che gli resistono ovunque o quei cristiani guidaizzanti che vogliono ricondurre i suoi convertiti sotto il giogo della legge. Per essi non ha riguardi (1 Ts 2,15s; Gal 5,12; Fil 3,2). Alle loro pretese orgogliose e carnali oppone l’autentica potenza spirituale che si manifesta nella sua debole persona (2 Cor 10,1-12,12) e nella sincerità del suo disinteresse (At 28,3+). Si è preteso che i suoi rivali fossero i grandi apostoli di Gerusalemme. Nulla lo prova; si tratta piuttosto dei giudeo-cristiani integristi che si richiamavano a Pietro (1 Cor 1,12) e a Giacomo (Gal 2,12) per distruggere il credito di Paolo. Di fatto egli rispetta sempre l’autorità dei veri apostoli (Gal 1,18; 2,2) pur rivendicando un uguale diritto ad essere testimone di Cristo (Gal 1,1,11s: 1 Cor 9,1; 15,8-11); e se gli succede di resistere perfino a Pietro su un punto particolare (Gal 2,11-14), sa anche mostrarsi conciliante (At 21,18-26) e mette grande cura nella colletta a favore dei poveri di Gerusalemme (Gal 2,10) vista come il miglior pegno dell’unione tra i cristiani della gentilità e quelli della chiesa madre (2 Cor 8,14; 9,12-13; Rm 15,26). (continua)
Domande per la riflessione personale e comunitaria: 1. Quale insegnamento ricavo per la mia vita sul significato delle prove e tribolazioni della tua vita cristiana alla luce delle prove e tribolazioni di Paolo? 2. Leggi attentamente le citazioni bibliche di questa puntata, meditandole col cuore. Se sei in un gruppo, può seguire una condivisione. 3. Formula in concreto quali atteggiamenti nuovi nella vita ti suggerisce l’esempio di Paolo e fai una preghiera su questi propositi.
Le precedenti puntate possono essere trovate nel sito web: www.nuovoadamo.net

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